Il lungo viaggio contro l’Alzheimer
Da non molto ci è giunta la notizia dell’approvazione di un nuovo medicinale per la malattia di Alzheimer, il cui nome è Aducanumab. Questa è la prima nuova terapia farmacologica per la malattia di Alzheimer dopo 18 anni dall’uscita dell’ultimo farmaco in uso; da giugno 2021 è somministrabile in America come trattamento. Ma di cosa si tratta esattamente? E qual è l’attuale situazione relativa alle cure e alle conoscenze sul tema?
Partiamo dal fare chiarezza rispetto a questo nuovo trattamento. Innanzitutto, si tratta di un farmaco che può portare ad un rallentamento del declino, non certo alla guarigione, traguardo da cui, purtroppo, siamo ancora lontani. Aducanumab agisce eliminando parzialmente le placche, che si formano nel cervello danneggiando il suo funzionamento. Tali placche, secondo una diffusa teoria, sono note essere però solo la principale delle verosimili cause della progressione dell’Alzheimer. Il punto di forza di questo farmaco è che, a differenza degli altri quattro esistenti ad oggi, non agisce sui sintomi (come ad esempio lo stato confusionale), ma sulla progressione della patologia. Purtroppo però, a causa di alcuni dati discordanti rispetto all’efficacia di Aducanumab, la Food and Drug Administration (ente americano che regolamenta alimenti e farmaci garantendo la sicurezza dei cittadini) ha concluso che restano delle incertezze sui benefici clinici del medicinale.
Recentemente invece la ricerca sull’Alzheimer sta spostando l’attenzione sul microbiota intestinale (cioè la popolazione di microrganismi che si trovano nell’intestino). Sembrerebbe appunto che la flora intestinale, avendo una via di collegamento col cervello, quando alterata abbia un ruolo nello sviluppo di neurodegenerazione, passando prima da uno stato di infiammazione neuronale. Tale ipotesi sembra essere sempre più avvalorata dai crescenti studi che si stanno svolgendo in questo ambito. Questo ci lascia aperte le speranze, perché una volta confermata tale teoria e compresi meglio i meccanismi sottostanti, si potrà procedere anche allo sviluppo di farmaci innovativi per l’Alzheimer.
Nonostante la ricerca stia ancora procedendo per valutare l’efficacia di nuovi farmaci, in alternativa, ad oggi sono attive e riconosciute svariate terapie dette “non farmacologiche”. Esse contribuiscono al rallentamento del declino cognitivo dovuto alla malattia di Alzheimer ed al contenimento dei suoi sintomi. Alcuni esempi sono la stimolazione cognitiva, la terapia del viaggio, la musicoterapia, l’ambiente terapeutico, la terapia della bambola o alcuni approcci come quello capacitante o la gentlecare. Tutte queste terapie hanno principi, regole e struttura ben precise, che garantiscono la loro efficacia. Esse sfruttano i benefici di alcune modalità, attività o del ricreare alcuni contesti o situazioni. Accanto alle terapie non farmacologiche vi sono poi, a scopo preventivo e di contrasto del declino cognitivo, anche abitudini di vita molto utili, come ad esempio il fare attività fisica, il mantenere una dieta adeguata o il mantenersi attivi a livello sociale.
Dato il quadro descritto, possiamo concludere che il viaggio è ancora lungo, ma di certo ci sono buone strade già avviate in cui riporre la nostra fiducia.
A cura di Paola Lacchini
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